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08-05-2006        tratto da www.ambiente.it
La Cina vuole salvare le foreste con una tassa sulle bacchette usa e getta
Per produrre i bastoncini utilizzati come posate vengono distrutti ogni anno due milioni di metri cubi di legno.
L'ambiente sarà salvato da una tassa sui chopsticks, i bastoncini che da millenni i cinesi usano al posto delle nostre posate per mangiare? Sembra uno scherzo, e la data di introduzione della nuova tassa annunciata dal ministero delle Finanze si presta al sospetto: entrerà in vigore il primo aprile. Ma il governo di Pechino fa sul serio e cita numeri che fanno riflettere. Offrire le bacchette 'usa e getta' nei ristoranti provoca uno spreco di legno che - sulla scala di un paese con un miliardo e 300 milioni di abitanti - contribuisce alla deforestazione. Ogni anno la Cina produce 45 miliardi di paia di bastoncini di legno, di cui 6 miliardi di paia vengono esportati per rifornire i ristoranti cinesi nel mondo intero. Ogni volta che il cliente butta via un paio di bacchette usate, senza saperlo alimenta una strage di pioppi, betulle e bambù. Secondo le stime del governo cinese la produzione di chopsticks usa e getta è responsabile della distruzione di due milioni di metri cubi di legno ogni anno. Del resto da tempo le organizzazioni ambientaliste cinesi hanno denunciato lo spreco dei bastoncini, e alcune scolaresche hanno scritto al primo ministro Wen Jiabao per chiedergli di intervenire.

La decisione annunciata ieri ha un valore simbolico legato alla 'svolta verde' dell'ultimo Congresso: due settimane fa a Pechino il premier Wen di fronte all'Assemblea legislativa ha promesso uno sviluppo sostenibile e ha annunciato misure più severe contro l'inquinamento. Ma basterà una modesta tassa del 5% sui chopsticks? Se davvero ha successo la campagna contro i bastoncini in legno adoperati una volta sola, si rischiano danni di altro genere. Gli esperti sanitari ricordano che fu lo stesso governo a incoraggiare la diffusione delle bacchette usa e getta per motivi di igiene, soprattutto dopo l'epidemia della Sars del 2003. L'alternativa infatti sono i bastoncini di metallo che vanno lavati dopo l'uso. Ma in Cina la stragrande maggioranza dei ristoranti, dei bar, delle mense aziendali o scolastiche non hanno lavastoviglie ad alta temperatura che uccidono i germi; l'acqua corrente è spesso inquinata e non potabile. I bastoncini riciclati possono trasformarsi in micidiali strumenti di contagio di ogni sorta di malattie. Le prime reazioni all'annuncio del governo sono sintomatiche: la gente si preoccupa di sapere se la tassa del 5% finirà per gravare sulle tasche dei ristoratori oppure sarà scaricata sui consumatori sotto forma di aumenti dei prezzi; pochi pensano che scompariranno i chopsticks usa e getta. Anche dal punto di vista ambientale la misura avrebbe un impatto marginale.

La causa di gran lunga più importante della deforestazione massiccia è il boom edilizio: dal bambù usato nelle impalcature per le costruzioni dei grattacieli, fino al legno per l'industria dei mobili, il principale imputato è l'industrializzazione e l'urbanizzazione cinese che ogni anno attira 20 milioni di immigrati dalle campagne nelle città. Dopo avere già devastato una parte del proprio patrimonio boschivo, oggi la Cina esporta i suoi problemi nel resto dell'Asia: per soddisfare il bisogno di legname dell'industria cinese ogni anno in Indonesia si distruggono foreste pari all'intera superficie della Svizzera; la Birmania sta cedendo in appalto i suoi boschi agli appetiti del potente vicino.

La tassa sui bastoncini da tavola non è l'unica misura 'verde' annunciata ieri. Il governo ha deciso anche di introdurre delle accise sulla nafta, i solventi e gli oli lubrificanti, e un'imposta di 0,1 yuan (un centesimo di euro) al litro sul cherosene usato dagli aerei. Ha aumentato dall'8% al 20% l'Iva sulle automobili di grossa cilindrata, sopra i due litri, riducendo invece dal 5 al 3% quella sulle utilitarie. La Cina è già oggi il terzo mercato automobilistico mondiale dopo gli Stati Uniti e il Giappone. Nonostante queste misure, la politica fiscale rimane tutt'altro che dissuasiva verso gli sprechi di energia. Il prezzo della benzina è deciso amministrativamente ed è molto più basso che in Europa.

Il governo cinese finora ha esitato ad alzare il costo del carburante per timore di rilanciare l'inflazione e soprattutto di scontentare la middle class urbana. Il ceto medio che può permettersi l'auto privata è lo zoccolo duro del consenso sociale del regime. Perfino l'annuncio dell'accisa sul cherosene per gli aerei è stato accompagnato dalla precisazione che per ora il governo ne preleverà solo un terzo. Non si vuole penalizzare il trasporto aereo, un altro consumo in piena espansione da quando i cinesi hanno conquistato il diritto di viaggiare. A testimoniare quali restano le vere priorità della Cina, ieri l'apertura dei telegiornali non era dedicata alla tassa sui bastoncini ma alla visita del presidente russo Putin, all'accordo di fornitura di 80 miliardi di metri cubi di gas russo, e alla speranza che Mosca privilegi la Cina contro il Giappone nella costruzione del nuovo oleodotto dalla Siberia. La fame di energia, che ha già fatto della Cina il secondo consumatore e importatore mondiale di petrolio dietro gli Stati Uniti, non accenna a smorzarsi.
 
 
 

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